venerdì 10 settembre 2010

Sutra del Loto. Riassunto. Capitolo 16. Durata della vita del Budda.


Dopo aver ascoltato la domanda del bodhisattva Maitreya su come egli sia riuscito a quarant'anni dal raggiungimento della bodhi profonda a convertire innumerevoli schiere di bodhisattva perfetti, il Buddha Śākyamuni chiede all'intera assemblea riunita a Gṛdhrakūṭa di testimoniare la fede nel suo insegnamento, e solo dopo aver ascoltato questa testimonianza il Buddha spiegò che:



« I deva, gli uomini e gli asura di ogni mondo credono che il Buddha Śākyamuni dopo essersi allontanato dal clan degli Śākya, si sia seduto sull'eccelso e sublime seggio del risveglio nei pressi della città di Gayā. Ma non è così accaduto. Figli nobili, sono in realtà trascorsi innumerevoli, infiniti, centinaia di migliaia di miriadi di milioni di nayuta di kalpa da quando ho conseguito lo stato di buddha. »
(Sutra del Loto, XVI)

Nel prosieguo della sua spiegazione, il Buddha Śākyamuni racconta che lui da tempo immemorabile vive nel mondo di sahā dove opera come il Buddha, apparendo e predicando in modo differente a seconda della mente degli uomini e delle loro necessità. Solo alle persone di scarse virtù narra di aver lasciato la famiglia in gioventù conseguendo successivamente la bodhi perfetta, ma lo fa per venire incontro alle loro inadeguate possibilità di comprensione. Così come differentemente si manifesta e differenti sono i suoi sūtra, tutti comunque veri.

« Perché mi comporto in questo modo? Perché il Tathāgata vede il Triplice mondo per quello che è esattamente. Esso è senza nascita e senza morte, né saṃsāra né nirvāṇa. Né è reale, né è illusorio, né è in questo modo né è differente da questo modo, non è così come percepito da coloro che vi dimorano. »
(Sutra del Loto, XVI)

Coloro che abitano questo mondo, sostiene lo Śākyamuni, sono diversi, con diversi modi di pensare e diversi desideri, per salvarli occorre adattare gli insegnamenti alle loro diversità. Per questa ragione il Buddha predica il suo stesso parinirvāṇa pur non entrandovi mai, pur non avendo mai ancora portato a termine la sua antica scelta di bodhisattva.

« Perché mi comporto in questo modo? Perché se il Buddha rimanesse troppo a lungo nel Triplice mondo le persone con poche virtù non sarebbero in grado di piantare virtuose radici ed esistendo in modo misero e inadeguato promuoverebbero l'attaccamento ai desideri cadendo in preda alle illusioni. Vedendo che il Tathagāta è sempre nel mondo, non conoscendo alcuna estinzione, diverrebbero negligenti ed egoisti oppure cadrebbero nello sconforto. Non comprenderebbero quanto sia raro incontrare un buddha, non riconoscendogli né rispetto né autorevolezza. »
(Sutra del Loto, XVI)

Per spiegare questa dottrina del Buddha eterno e della necessità di predicare comunque il suo parinirvāṇa, lo Śākyamuni narra una parabola in cui un padre tornando a casa viene a sapere che i suoi figli hanno inavvertitamente ingerito del veleno. I figli gli corrono incontro supplicandolo di curargli l'avvelenamento, allora il padre prepara subito una medicina e la consegna ai figli. I più avveduti l'assumono prontamente, mentre coloro i quali hanno perduto la lucidità a causa dello stesso avvelenamento pur esprimendo contentezza per la presenza del padre si rifiutano di farsi curare in preda a vaneggiamenti. Allora il padre escogita un espediente: annuncia ai figli di essere vecchio e vicino alla morte, gli lascia il preparato medicamentoso invitandoli ad assumerlo dopo la sua scomparsa e infine si accinge ad un viaggio. Giunto in un altro paese invia loro un messaggero con la notizia di essere morto. I figli disperati non sanno più a cosa ricorrere per curare il loro avvelenamento, non resta quindi che la medicina lasciatagli dal padre e subito la prendono. Guariti, compare loro il padre ancora vivo e tornato dal viaggio.

Il Buddha chiede quindi ai partecipanti all'assemblea se il padre della parabola ha fatto bene o meno a mentire ai figli sulla sua morte. I presenti sostengono che tale padre si è comportato in modo più che adeguato per salvare i suoi figli.

« Quando gli esseri senzienti divengono credenti devoti

retti e sinceri
desiderando con il cuore di incontrare il Buddha
offrendo la propria vita
allora io e l'assemblea dei monaci
appariamo loro insieme a Gṛdhrakūṭa.
[...]
Quando gli esseri senzienti vivono nella fine di un kalpa
e tutto brucia all'interno di un immenso fuoco
questa mia terra rimane illesa
sempre popolata da maru e da uomini.
Le sale e i palazzi con giardini e boschi
arricchiti di pietre preziose
con alberi da frutta, ricchi di fiori,
con esseri senzienti felici e a loro agio
[...]
Questa mia terra non viene distrutta
nonostante ciò gli uomini la vedo incendiata
e sono in preda alla paura e alla sofferenza
questi esseri senzienti con molte colpe,
con un karman cattivo
trascorrendo infiniti kalpa
senza udire mai il nome dei Tre tesori.
Solo coloro che praticano la Via dei meriti,
che sono affabili, onesti, miti
tutti questi mi vedono


qui, nella mia persona, intento a predicare il Dharma. »
(Sutra del Loto, XVI)

Gene Reeves [1] evidenzia come:

« In questa parabola, il padre-medico, naturalmente, rappresenta il Buddha e la sua finta morte è come l’ingresso nel nirvana del Buddha. In realtà, secondo il Sutra del Loto, il Buddha universale, il padre amorevole del mondo che agisce per salvare tutti dalla sofferenza, non è morto e non morirà. Egli ha fatto finta di morire solo per rendere le persone più responsabili delle proprie vite. Questo è un buon esempio di come il Sutra, prendendo una nozione fondamentalmente negativa – il nirvana – la trasformi in una che afferma il mondo »

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